Credo che quasi tutte le persone che sono sui social abbiano visto la notizia rispetto al coming out dell’attore Elliot Page.
Molte persone in modo benevolo, altre, troppe, in modo malevolo, hanno posto domande, fatto commenti ed espresso pareri.
Ma cosa ha fatto Elliot Page?
Ha fatto un coming out con cui ci ha comunicato che ha una identità di genere non binaria, il suo nome e il pronome da usare, lui o loro (che è però la traduzione da They… che in inglese ha in questo caso un valore di neutro e che in Italia non ha nessun affine linguistico purtroppo).
Elliot Page non ha cambiato sé stesso.
Ha comunicato al mondo sé stesso.
Questo passaggio credo sia sfuggito a tante persone.
La questione della identità di genere, su cui ho già scritto altri articoli, non è semplice e non può essere facilmente semplificata.
Ma una cosa possiamo dirla.
Solo Elliot Page può dirci chi è.
Noi non dobbiamo capirlo e ancor meno fare un processo di accettazione interiore che comporta chissà quale esoterica pratica.
Dobbiamo prenderne atto.
Non vi sto dicendo che non dobbiamo farci domande, informarci e studiare la questione delle identità di genere.
Io lo faccio per molte ore al giorno per tanti giorni all’anno.
Vi sto dicendo che quando una persona ci comunica la sua identità e ci dice come rispettarla e riconoscerla in senso linguistico, non ci sta chiedendo pareri in merito, non ci sta dicendo come è arrivata a questa consapevolezza e neppure ci sta facendo lezione di vita.
Per cui io ringrazio Elliot Page, che sta benissimo a quanto ho letto e visto, perché mi permette di fare a me a voi una domanda.
Cosa fa di me un uomo o una donna?
Diamo sempre per scontato che si è donne e uomini in base al sesso che ci viene assegnato alla nascita in base ai nostri genitali.
Ma io, lo affermo con veemenza, non sono donna perché ho la vulva.
O almeno non solo per quello.
Io sono nata femmina ma diventata donna in un processo articolato e complesso fatto di biologia, di ambiente sociale e di rielaborazione psichica.
Se diamo per scontato che se si nasce con la vulva si è donne, relegheremo chiunque non segua questo sviluppo nel “fuori norma” se va bene, nel patologico se siamo comunque politicamente corretti, nel perverso se siamo ignoranti e/o cattive persone.
E allora gli uomini e le donne transgender saranno comunque, anche per chi di noi ha un cuore e un cervello che rifiutano le discriminazioni, qualcosa di cui “occuparci” perché un po’ sfortunate e malate, comunque, un po’ “sbagliate”.
SI dice spesso che le persone trans nascono nel “corpo sbagliato”.
Nessun corpo è sbagliato.
Al massimo i corpi non sono conformi a ciò che socialmente associamo a maschile e femminile, al massimo i corpi possono non rappresentarci come vorremmo ma non sono in sé sbagliati.
Se una persona non sente il suo corpo “sbagliato” o completamente “sbagliato” anche se non conforme allo stereotipo di uomo o donna che noi adottiamo?
E se una persona ha una identità né uomo né donna o sia uomo che donna?
Perché quando Elliot ci dice che è una persona non binaria, quando al lui affianca il “loro” come pronome, ci porta in questo sviluppo dell’identità di genere.
Come l’affrontiamo?
Be’ la mia strada, il modo in cui io donna cis gender binaria ho scelto di rapportarmi alla “questione” delle identità di genere non cis, è quella di provare non a discutere o indagare quanto le donne e gli uomini trans o le persone non binarie siano “non conformi” nel corpo o nella mente a me, ma di chiedermi solo quale strada per diventare donne e uomini o altro hanno percorso e quali ostacoli fisici, psichici e sociali devono superare per essere rispettate.
Il mio percorso biologico, sociale, psichico mi ha portata ad essere donna.
Se vado in tv e dico sono una donna e mi chiamo Anna nessuno si permetterebbe mai di sollevare pareri in merito, né pro, né contro.
Ma il mio non è l’unico percorso identitario possibile perché la natura è molto più fantasiosa e variabile di quello che noi pensiamo.
Il grande valore aggiunto sociale dei coming out delle persone transgender lo vedremo quando passeremo dal farci domande su di loro al farle su di noi.
Quando passeremo dal chiederci cosa è successo Eliot Pege a chiederci cosa è successo a noi.