La resilienza, nel mondo psicologico, è la capacità di far fronte positivamente ad eventi traumatici.
Essere resilienti significa quindi avere la capacità di riorganizzare la propria vita davanti alle difficoltà.
Questa competenza ci permette di “farci una corazza” rimanendo sensibili alle opportunità positive che la vita ci mette davanti.
E per spiegarvi meglio questo concetto voglio oggi parlarvi della nazionale di Rugby italiana.
Rugby e resilienza
Il rugby è sicuramente uno degli sport più duri a livello agonistico, sia per il gioco in sé che per la pressione psicologica a cui gli atleti sono sottoposti.
Vi dico questo per due motivi principali
Il primo è che il rugby è lo sport di squadra di contatto per eccellenza, e per essere un giocatore professionista bisogna avere un’ottima capacità di assorbire i duri scontri di gioco.

Il secondo motivo per cui associo resilienza e rugby è che, essendo un gioco molto fisico, non è possibile fare partite troppo ravvicinate, altrimenti il fisico non ci aiuta.
Quindi potete immaginare che pressione deve gestire un atleta di rugby quando ha poche gare per potersi mettere in “mostra” poter far veder al suo allenatore quali siano le sue vere capacità.
Se a tutto questo aggiungiamo anche la pressione dovuta al raggiungimento di determinati risultarti capite bene che essere resilienti è una delle competenze necessarie per questi atleti.
L’Italrugby è dentro un tunnel mentale?
Io sono un grande appassionato di Rugby, non solo perchè l’ho praticato, ma anche perchè sono affascinato dalla grande capacità di resilienza che hanno i nostri atleti.
La nazionale italiana di Rugby potremmo dire che è il classico “ragazzo che è bravo ma non si applica”
Cioè da ormai troppi anni vediamo una nazionale, che sulla carta e in determinati momenti, esprime delle potenzialità niente male, per poi cadere dentro il tunnel mentale della sconfitta.
Tante, troppe volte, le partite dell’Italia sono finite allo scoccare del fischio di metà tempo.
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un dualismo di performance molto evidente.
Abbiamo una nazionale alla dottr Jekyll e Mr. Hide.
Il primo tempo, normalmente, siamo competitivi, combattiamo su ogni pezzo di campo, anche davanti a squadre molto ma molto più forti di noi.
Nel secondo tempo invece assistiamo ad una squadra che spesso non è competitiva, non attacca, non contesta i placcaggi…
E quasi sempre la delusione si manifesta sui volti di questi atleti, quando il tabellina li segna come perdenti.
Della serie che l’ultima vittoria contro la Scozia, la squadra più abbordabile del 6 Nazioni (che è il torneo che si disputa ogni anno a livello europeo) risale al 2015.

Resilienza come punto di partenza
Ma perchè vi parlo di questo, e soprattuto cosa c’entra la resilienza con la nostra nazionale?
E’ semplice.
Questa competenza è fondamentale per permettere a questi atleti di continuare a scendere sul campo di gioco.
E sarà questa competenza che ci permetterà di fare il salto in avanti che meritiamo.
Ieri (14 novembre 2020) si è giocata la prima partita dell’Italia dentro il Autumn Nations Cup, una competizione nata per contrastare le defezioni, a causa covid, dei grandi eventi internazionali.
E la prima partita la abbiamo giocata contro la Scozia.
Risultato?
Facile, abbiamo perso.
Ma in questa sconfitta ho visto tante cose che mi fanno davvero sperare.
La nostra nazionale è stata quasi sempre in partita, abbiamo mollato solo gli ultimi 20 minuti, cosa che era da un bel pò che non vedevo.
E soprattutto, per un bel pò di tempo siamo stati pure in vantaggio.

E tutto questo lo dobbiamo solo alla grande capacità di resilienza che hanno i nostri ragazzi.
Perdere, continuare a perdere e così via non piace a nessuno, quindi ci sono due strade:
O si getta la spugna
oppure si fa tesoro delle sconfitte, si indurisce l’armatura e poi….
Si usa questa energia in modo positivo.
Sono fiducioso, sia da tifoso che da professionista perchè la resilienza è la forma più potente di cambiamento, soprattuto quando ci si trova con la m***a intorno alle ginocchia.
E se guardate la partita fatta inizierete a vedere degli atleti che sono consapevoli delle loro potenzialità.
Serviva forse svecchiare una squadra composta da tanti ottimi giocatori, che però forse erano troppo assuefatti alla sconfitta.
Serviva introdurre dei ragazzini che non hanno paura di niente e che se perdono non se ne faranno una colpa.
non so cosa sia successo ma qualcosa ha fatto scattare un cambiamento nelle loro teste.
E fidatevi se vi dico che una vittoria dell’Italia di Rigby non è lontana dall’avvenire.