Siamo di fronte ad un black out educativo, in un’Italia già in crisi, complice la forte crisi fallimentare sul piano scolastico, la dispersione sempre più in crescita e la povertà culturale sempre più accentuata.
Un’Italia già in crisi, ancor più in questo periodo storico.
Secondo il report settimanale dell’Osservatorio povertà educativa #Conibambini, a cura di Openpolis e Con i Bambini, circa 9 milioni e mezzo di minori vivono in povertà relativa e assoluta. I contesti sociali in cui vivono sono caratterizzati da quartieri degradati, privi di centri di aggregazione culturali e sportivi e popolati da famiglie il cui reddito è precario.
Un disagio economico e sociale grave che riguarda tutto il paese, da Nord a Sud.
A porvi rimedio, una serie di progetti promossi dal terzo settore, tra cui quelli realizzati grazie al Fondo contrasto alla povertà minorile dell’impresa sociale Con i Bambini e a Save The Children.
Si tratta di progetti finalizzati a creare bacini di inclusione sociale. La comunità educante -la famiglia, gli educatori, gli amici -ha il ruolo principale di accompagnare il bambino in un percorso di crescita volto a formare un adulto consapevole e attivo. La necessità è quella di garantire presidi educativi sul territorio: associazioni sportive e centri culturali, oratori e biblioteche, laboratori pomeridiani e spazi verdi dove giocare.

L’altra faccia del distanziamento sociale
Ai giorni nostri, l’emergenza Coronavirus ha imposto, per la sicurezza di tutti, precise regole di distanziamento fisico che hanno però incrementato il distanziamento sociale.
Le relazioni fra persone sono cambiate. I modelli comunicativi sono mutati.
In tutti gli ambiti, e soprattutto in quello scolastico, la modalità online ha sostituito ogni metodo classico di insegnamento e di relazione. E quanto ha contribuito alla crescita di un divario sociale e allo stesso tempo di un dislivello sul fronte digitale.

La didattica a distanza è stata in parte un fallimento: non tutte le famiglie possiedono un pc e la copertura di rete fissa su banda larga non copre ancora tutto il territorio nazionale.
Infatti nei comuni polo, baricentrici in termini di servizi, le famiglie raggiunte dalla rete fissa di banda larga veloce (superiore a 30 Mbps) sono oltre l’80%. In quelli periferici e ultra periferici, distanti oltre 40 minuti dalla città più vicina, non arrivano al 40%.
Se da una prima analisi però, il motivo per cui non tutte le famiglie possiedono un pc è legato agli aspetti economici – la connessione costa troppo – c’è da sottolineare come il gap culturale a livello digitale sia dovuto anche all’uso che viene fatto della rete.
Chi vive in una famiglia socio-economicamente svantaggiata è meno probabile che usi internet per accedere all’informazione. Il 73,7% degli studenti di famiglie avvantaggiate usa internet per leggere notizie. Tra quelli svantaggiati la quota scende al 60,4%.
In Italia, inoltre, rispetto alla maggior parte paesi europei, il livello di competenze a disposizione per padroneggiare gli strumenti tecnologici è basso.
Prima dell’emergenza, i dati segnalavano anche forti disparità nella dotazione digitale delle scuole, dai computer alle lavagne multimediali.
Siamo quindi di fronte ad una nuova definizione di povertà educativa.
Un black out comunicativo e relazionale che va ad incidere sui vari piani della società attuale.
Ogni politica di intervento deve prevedere un processo di rigenerazione, sociale e digitale che vada a colmare quel gap culturale evidenziabile in ogni contesto collettivo.
