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Morti bianche sul lavoro: era bello il mio ragazzo

È il 2021 e si muore ancora di lavoro. In questo anno in corso si stimano oltre due decessi sul lavoro al giorno.
È il 2021 e si muore ancora di lavoro. In questo anno in corso si stimano oltre due decessi sul lavoro al giorno.

Così cantò nel 1972, dal palco di San Remo, Anna Identici, portando sul palco dell’Ariston il tema delle cosiddette “morti bianche”.

“ …Era stanco il mio ragazzo in quel letto d’ospedale ma mi disse: Non fa niente, solo un piccolo incidente. Quando si lavora sodo non c’è soldi da buttare. Non puoi mettere troppa cura per far su l’impalcatura…”.

morti

I morti sul lavoro. I morti per lavoro e di lavoro.

È una ballata di amore, di dolore, di rabbia e protesta.

È la voce di una madre quella che intona:

“Era bello il mio ragazzo sempre pieno di speranze, mi diceva: Mamma mia un giorno sai ti porto via, via da tutta sta miseria, in una casa da signora, via da questo faticare, potrai infine riposare…”.

Era il 1972, si moriva di lavoro. È il 2021, si muore ancora di lavoro.

In questo anno in corso si stimano oltre due decessi sul lavoro al giorno.

Nei primi tre mesi dell’anno all’ INAIL sono arrivate 185 denunce di infortunio mortale, 19 in più del 2020.

Le morti bianche in Italia

Il caso di Luana D’Orazio, morta a 22 anni sul posto di lavoro, ha riacceso i riflettori sulle “morti bianche” in Italia.

La narrazione della vicenda così tesa a scavare nel privato, nei sogni e nei progetti, indugiante sulla bellezza e sulla giovane età, sembra rispondere più alle logiche dello spettacolo che a quelle della verità.

È normale che una giovane morte susciti maggiore clamore e dolore perché innaturale, ma ciò che dovrebbe maggiormente colpire ed indignare è il fatto tragico in sé: una donna, una persona, è morta sul posto di lavoro.

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I sensazionalismi dal sapore gossiparo non aiuteranno la causa. È come un girare intorno alle cose, come osservare il dito e non la luna, è come non voler dare nome e sostanza agli eventi.

Non si dovrebbe indagare sulle abitudini private dei protagonisti di un fatto di cronaca, bensì sulle cause.

Perché il fatto, i fatti, in questione, non sono incidenti.

Non sono “morti bianche”.

Non sono casi fortuiti dovuti al fato.

Sono omicidi, non senza mandante.

Non sono fatti di cronaca, sono fatti politici.

La sicurezza sul lavoro è un diritto

La sicurezza sul lavoro è un diritto, un dovere; è un imperativo assoluto.

La sicurezza sul lavoro non è qualcosa di negoziabile.

I controlli sul luogo di lavoro? Le responsabilità morali e penali?

Queste le domande. Ovvie.

Questo il bandolo della matassa e non la spettacolarizzazione nella narrazione.

Le suggestioni dovrebbero essere tese a suscitare ben altri clamori, se di clamore si può parlare: non è una novità per nessuno che in nome del profitto si eludono norme di sicurezza basilari.

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Ed allora non chiamiamole più “morti bianche”. Non chiamiamoli più incidenti, o tragedie o fatalità.

Non sono mai state “morti bianche”, non sono mai stati incidenti.

Eludere e/o non vigilare sulle norme di sicurezza in nome del profitto significa operare una scelta: scegliere di non tutelare e di non salvaguardare i diritti dei lavoratori.

Significa scegliere di mettere a tacere, scegliere di ricattare.

Significa avallare le più bieche “regole” del capitalismo, commettere un crimine, un omicidio.

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