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Padre perché figlio

Essere padre è un avvenimento segnato dal mistero. Non è né scontato né prevedibile. Appunto, un avvenimento.
Essere padre è un avvenimento segnato dal mistero. Non è né scontato né prevedibile. Appunto, un avvenimento.

Per avere un padre bisogna credere nel Padre

Frase secca e penetrante come una freccia.

Non l’ha pronunciata né un prete né un frate, ma uno psicanalista di scuola junghiana, Claudio Risé, autore di un fondamentale testo sul padre, “L’assente inaccettabile”.

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Essere padre è un avvenimento segnato dal mistero.

Non è né scontato né prevedibile. Appunto, un avvenimento.

La sociologia può diffondersi su ogni piega statistica, ma la questione rimane questa: accade che un uomo, un soggetto, un io, a un certo punto della storia, a tempo debito, per così dire, diventi padre.

Scatta la domanda: costui diventa padre perché ha un figlio naturale? Neanche per idea. Ecco lo scandalo della paternità.

Abbiamo legioni di uomini anagraficamente padri e certamente non capaci di paternità: padre è chi ti spalanca la realtà nella totalità dei suoi fattori. Padre è chi ti fa amare la realtà e guardare il mondo con lo sguardo della nascita permanente.

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Padre è solo chi è figlio nel Padre. Sì, proprio il “Padre nostro che sei nei cieli”, con il nota bene decisivo: il Padre ha voluto il Figlio nella storia e, da allora, tutti noi abbiamo a cuore questa appartenenza.

C’è un test per capire ciò: l’attrattiva che un giovane ha nei confronti dell’esperienza di un uomo adulto. Concretamente, quanto egli senta che lo spettacolo della vita di un altro sia o possa essere il teatro sul quale anch’egli potrebbe muovere i primi passi alla conquista di sé e del mondo.

E che questo accada, solo perché si nasce da un padre naturale, è la cosa meno scontata ed evidente che ci sia. Un padre ha a che fare con quel condizionale, tutto a carico del figlio: quest’ultimo potrebbe seguirti. Ma, perché ciò accada, è necessario che tu sia figlio. Non al passato – sei stato un figlio -, ma al presente: tu sei figlio “di”.

L’appartenenza che ridona figliolanza

Padri perché figli.

Padri si diventa in forza di quest’origine, amata, riconosciuta e testimoniata, nella vita. Quest’origine, una “radice che porta” (san Paolo), consente all’uomo di sentire affettivamente ed effettivamente la gioia di un cammino orientato allo scopo ultimo dell’esistenza.

Chi appartiene a questa radice diventa capace di paternità. La paternità non ha niente di originale, dovendo abbracciare, ben più radicalmente, l’originario.

Come a dire: stiamo parlando del destino.

Non si può dare ad un essere umano, non si può dare ad un figlio il senso dell’essere voluto, il sentimento dell’essere voluto, non si può far capire questo, se non si comunica la gioia di un destino. Allora il dolore cambia aspetto; cioè, cambia significato, cambia segno e diventa una condizione. È la gioia del destino che i padri non hanno comunicato ai figli.

Don Luigi Giussani

Se un padre, da genitore adulto maschio, dimentica di essere figlio, amato da chi l’ha preceduto, voluto, desiderato, non può trasmettere la gioia di un destino. Non può, quindi, essere padre.

La possibilità per lui si giocherà sul piano del dinamismo di ripresa e di coscienza di quella realtà originaria: siamo prima di tutto figli.

Figli del Padre e, quindi, figli di un padre, a sua volta figlio, e di una madre, che si sono incontrati, amati, voluti e, nella comune appartenenza a quel Mistero, hanno generato un altro io, immesso nella realtà e nella storia per ridestare, a sua volta, questa coscienza.

Di padre in figlio: la parola “tradizione” significa “trasmissione”. Di cosa? Trasmissione di quel senso pieno, rotondo e persistente di destino, comunicato come gioia di essere, vivere e generare.

John Bowbly conferma: l’attaccamento alle radici familiari rigenera la vita

La teoria dell’attaccamento dello psicologo John Bowbly conferma puntualmente questa verità antropologica: la base sicura della vita è assicurata ai figli solo in forza di una struttura psicologica interna scaturente da legami saldi con il padre e la madre. Figure che proteggono, rassicurano e proiettano nell’universo simbolico della crescita continua.

Questa è la specifica dimensione generativa tematizzata anche dallo psicologo e ricercatore sociale Erik Erikson: la “generatività”.

“Generatività” è la preoccupazione e l’impegno di creare e dirigere una nuova generazione.

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Scrive Erikson:

“L’uomo maturo ha bisogno che si abbia bisogno di lui e la maturità ha bisogno di essere guidata e incoraggiata da ciò che è stato prodotto e di cui bisogna prendersi cura”.

Siamo così giunti al percorso maturo della paternità: la generatività come possibilità di costruire una nuova generazione di figli, in grado, nel tempo, di essere padri, nella coscienza del loro essere figli.

La paternità, dunque, forma e modella l’assetto sociale della compagnia umana, in ogni suo aspetto.

Come si può creare, amare, lavorare, produrre, fare politica, riformare la società senza questa coscienza?

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