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Di politica, potere e maschere passando per il cinema

Il film capolavoro “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” mette in scena il potere come maschera ambigua.
Il film capolavoro “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” mette in scena il potere come maschera ambigua.

“E smettiamola con queste leccate, il Carnevale è finito!”

così parlò Gian Maria Volontè, diretto da Elio Petri, in quel capolavoro assoluto che è “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”.

Il film interpretato da Volontè e Florinda Bolkan è del 1970.

È considerato uno dei migliori film del regista ed uno dei migliori in Italia.

maschere

Il film vinse il Grand Prix Speciale della Giuria al ventitreesimo Festival di Cannes ed il Premio Oscar al miglior film straniero nel 1971 ed anche l’anno dopo, 1972, una candidatura come migliore sceneggiatura originale.

Un dirigente di Pubblica Sicurezza, Volontè, il giorno stesso della sua promozione al Comando Politico della questura uccide Agusta Terzi, Bolkan, la sua amante.

Il film è realizzato con la tecnica dei flashback attraverso la quale lo spettatore apprende che Agusta invitava il commissario ad abusare del proprio potere e a narrarle particolari scabrosi di scene dei delitti seguiti dal “Dottore”, ricreandole nella loro intimità.

Lo provoca parlandogli di una sua presunta relazione con un rivoluzionario, il giovane studente anarchico Antonio Pace.

Maschere al potere

Il tema della maschera presente è quello della maschera del potere.

Il potere che si autoassolve, il potere che non può incriminare se stesso: crollerebbe il sistema.

Il Dottore stesso, che incarna il potere, con il suo omicidio vuole dimostrare che non è perseguibile.

Durante le indagini depista ed imbecca i colleghi, confidando nella propria insospettabilità.

potere

Il suo progetto paradossale è quello di essere smascherato per essere liberato: giù la maschera del potere per essere libero dalle sovrastrutture che esso stesso genera, e quindi fa di tutto per essere riconosciuto nella sua colpevolezza.

Afferma e smentisce, l’ambiguità risiede proprio nel gioco di maschere e ruoli: il protagonista commette l’omicidio per la sua voglia di sfidare la legge, che lui stesso personifica, e quindi se stesso e nello stesso tempo vuole essere punito per dimostrare che la legge è legge, ed è giusta.

Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano.

Franz Kafka

Carnevale triste

È il suo un “Carnevale vissuto in solitudine” ( Bachtin) reso sullo schermo perfettamente dalle trasfigurazioni del volto di Volontè, che ci ricorda attraverso la sua interpretazione eccellente cos’è un attore.

È un Carnevale triste. Il Dottore non può dimostrare la sua colpevolezza, i suoi colleghi l’inchiodano ad un ruolo: quello della giustizia e non dell’assassino, ma la sua invulnerabilità risulta per lui insostenibile perché lo pone al di fuori della legge.

Non si esce dai circuiti paranoici della legge, dalle maschere perverse del potere.

Il carnevale di maschere assume i tratti iperbolici del grottesco, è un carnevale astratto e kafkiano.

Ed è questa la forza del film: è un film sul potere come maschera ambigua.

Oltre che un atto di denuncia.

potere

“Panunzio le mani, le mani…”

urla Volontè per sottolineare che quelle impronte sono le sue impronte: è lui il colpevole.

Ma la sua “confessione” viene ignorata, coperta dalle risa dei colleghi che gli restituiscono lo scettro del potere, e della legge: non c’è via di fuga.

Dell’omicidio della Terzi, ca va sanse dire, verrà accusato il giovane anarchico, che poi sia un anarchico la “vittima sacrificale” e che Volontè nella sua interpretazione del commissario ricordi molto un “certo” Calabresi la dice lunga sulla storia recente del nostro paese… a proposito di maschere….

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