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La parola “io” per lo sviluppo umano integrale

Quanto è importante conoscere la parola io e il suo riflesso sulla nostra vita? una riflessione che vi farà vedere le cose da un'altro punto di vista.
Quanto è importante conoscere la parola io e il suo riflesso sulla nostra vita? una riflessione che vi farà vedere le cose da un'altro punto di vista.

“La parola io” – Giorgio Gaber (dall’album “Io non mi sento italiano”, uscito postumo, nel 2003, dopo la morte del Signor G.)

Questa è la “versione del Signor G.”, di acuta profondità, ma di assoluta unilateralità: l’Io è “l’immagine struggente del Narciso”, l’immagine più marcata e inaccettabile del “mondo occidentale”.

Un io “disgustoso, arrogante, prepotente”.

“Io, soltanto io, ovunque io”: il deserto del reale e l’Io, che troneggia, come un sovrano barocco senza più autorità.

I toni da Adorno di “Minima moralia” e la graffiante genialità del “filosofo ignorante”, questo è Gaber, anche in questa canzone.

Ma Gaber sbaglia.

L’Io non è il Narciso occidentale.

Può diventarlo, sfigurando il suo volto originario.

Ma non è questo il suo destino.

Al contrario, l’io (minuscola, per favore) è il fattore decisivo e dirompente dello sviluppo umano integrale.

La parola “io” è l’uomo certo di una positività del reale

L’io nasce come soggetto portatore di volontà, desideri e bisogni.

Si muove nella realtà per rispondere alle sollecitazioni che, di volta in volta, gli si parano innanzi.

L’io è il soggetto che risponde al reale e, in forza di ciò, si definisce come soggetto responsabile, ossia capace di risposta.

L’etica della responsabilità, di più: l’etica come responsabilità, è il fulcro di questo “io”, perché “solo uomini certi di una positività del reale possono trovare il coraggio di istruirsi, di imparare, di investire, di aver fiducia in chi hanno intorno, di tentare nuove strade e innovare” (Giorgio Vittadini).

Non esiste individualità che non sia frutto di questo lavoro fatto di certezza e positività. “Chi non lavora così, cade nel nulla, dove professerà il nichilismo” (Stanislaw Grygiel).

Altro che Narciso, l’io è tale se e solo se guarda all’altro – che sia il reale o che sia l’amico che collabora con lui – come sorgente e fattore di sviluppo.

Uno “sviluppo umano integrale”.

Perché “bisogna che lo sviluppo sia anzitutto vero e integrale” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, 2009, n. 23).

Una responsabilità tendenzialmente illimitata.

Perché, ad ogni passo compiuto nella certezza, corrisponde l’innalzamento del livello di risposta e di azione orientata al bene comune (che si declina nei singoli contesti della vita umana, al plurale).

la parola io

L’io e “il mestiere di vivere”

Questa tensione, che è dedizione al proprio destino ed a quello dell’altro, si muove per cerchi concentrici, dilatando spazi ed orizzonti.

Tensione all’infinito.

Ne scaturisce una disposizione al legame duraturo e permanente.

Occorre, quindi, stare attenti, perché, nel mondo dell’ “io” così come l’abbiamo sin qui descritto, vale ciò che scrive Cesare Pavese, nel suo diario, “Il mestiere di vivere”:

“Da chi non è pronto (…) a legarsi con te per tutta la vita (rinnovare cioè ad ogni giornata la dedizione) non dovresti accettare neanche una sigaretta”.

Vale anche per i non-fumatori.

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