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Stato: il “Dio mortale” assicura agli uomini proprio la morte

Lo Stato è un “Deus mortalis”, un Dio mortale. Domina in maniera assoluta la società e niente può sfuggire al suo controllo.
Lo Stato è un “Deus mortalis”, un Dio mortale. Domina in maniera assoluta la società e niente può sfuggire al suo controllo.

Deus mortalis: Thomas Hobbes, il padre dello Stato come forma assoluta di dominio e controllo della società, così definì la sua “creatura”.

Lo Stato è un “Deus mortalis”. Dio mortale.

Certo, esso non è come Dio, immortale, ma pur sempre Dio sulla terra. Perché niente può e deve sfuggire al suo controllo.

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Nella sua opera fondamentale, il Leviatano (il mostro biblico, Leviathan), pubblicata nel 1651, dopo una lunga gestazione, Hobbes sancisce la formula del potere assoluto di controllo della società da parte dello Stato.

Max Weber definirà lo Stato, nel 1918, come il soggetto detentore del “monopolio della violenza fisica legittima”. Solo lo Stato può usare la forza per reprimere, controllare ed ordinare la società ai suoi dettami insindacabili.

Da sempre, lo Stato è questo.

Ho detto lo Stato, non il mercato, cioè, non il “capitalismo” (occhio alle virgolette)…

Parlo dello Stato con il suo peso specifico, a tutti noto, e sovente percepito sulla pelle.

Lo Stato che, con la pandemia attuale, ha ripreso in mano il controllo della società e allora la “società del controllo”, di cui ha ragionato il filosofo francese Gilles Deleuze, non riguarda tanto il dispositivo del capitalismo, quanto la “machina machinarum” (sempre Hobbes), la super-macchina del controllo, la megamacchina dispotico-burocratica: lo Stato.

Da più parti, una certa intellighenzia neo-progressista e talvolta anche di “nuova destra”, lancia i suoi strali contro la macchina capitalistica, giungendo anche a definirla, reindirizzando la formula di Hobbes, “Deus mortalis”, un formidabile congegno di stritolamento della vita umana, della carne, dei sogni e dei desideri degli uomini.

In verità, ciò che, invece, emerge, oggi, è il super-potere, in salsa postmoderna, del vecchio “Deus mortalis”, il vecchio e sempre florido Stato.

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Che detta le regole, impone sanzioni, chiude attività economiche, elargisce chances di vita a seconda dei suoi disegni, sentita l’ala tecno-scientista al servizio della “machina machinarum”, naturalmente.

La nuova società dei DPCM è la cifra postmoderna del potere di controllo della società, di impianto statolatrico, che si auto legittima sulla base dello “stato di eccezione”; perché “sovrano è chi decide sullo stato di eccezione” (Carl Schmitt), ovvero sulla situazione emergenziale.

L’emergenza, appunto, fa emergere o ri-emergere, dalle acque, il mostro biblico, il Leviatano, che è l’ormai ben noto “Deus mortalis”, lo Stato.

Uno Stato che torna anche ad essere “assoluto”, nel senso di ab-solutus, sciolto da ogni forma di legittimazione della sua sovranità (questo significa “assoluto”); la leggendaria formula del Marchese Onofrio del Grillo, (un personaggio realmente esistito, non è un parto della genialità creativa di Mario Monicelli) cioè “Io sono io e voi non siete un…”, il resto è fin troppo noto.

La risposta di Chesterton, sovversivo pensatore cattolico

Nel cuore dell’età vittoriana, nasce in Inghilterra una delle menti più taglienti e creative del cattolicesimo moderno, Gilbert Keith Chesterton (1874-1936).

Chesterton si dedica anche alle questioni sociali ed economiche, pur non essendo né un sociologo (grazie a Dio), né un economista (ancor più grazie a Dio), quindi realmente in grado, come la maggior parte dei sociologi e degli economisti non riescono a fare, di penetrare la vita umana e la sua complessa trama di bisogni e desideri.

Di fronte al problema del capitalismo, Chesterton assevera, contro intuitivamente: “Troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti”.

L’essenza del distributismo è tutta qui.

Chesterton aveva già capito che la dinamica del capitalismo è concentrazionaria e diffusiva, ma interamente a discapito della distribuzione della proprietà e dei mezzi di produzione.

Conclusione: una struttura capitalistica diventa, al pari di una struttura corporativo-burocratica, una casamatta del potere di controllo della società, senza creare, in realtà, una società di proprietari e produttori, ovvero una società in cui, se non tutti, ma quasi, sono capitalisti.

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Lo Stato, in realtà, è alleato della superburocrazia capitalistica; chi ne fa le spese è l’uomo libero, non più proprietario neppure della sua abitazione, figuriamoci dei mezzi di produzione.

Quando le attività economiche principali vengono chiuse, i ristoratori sono ridotti alla canna del gas, gli artisti sono alla fame, i musei, i cinema, le palestre sono diventati catacombe, ciò che emerge ha due aspetti:

da un lato, l’ipertrofia del potere leviatanico del “Deus mortalis”,

dall’altro, l’aumento vertiginoso dei profitti di quel capitalismo concentrazionario e collettivistico, che spazia dalle banche alle piattaforme online, con i grandi brand all’assalto del nuovo e florido mercato dei bisogni (visto che non si può comprare “offline”).

Quindi, il nemico non è il capitalismo in quanto tale, ma il combinato disposto di “Deus mortalis” + capitalismo collettivistico-burocratico concentrazionario, che non permette agli uomini di diventare proprietari in massa.

Ossia di diventare capitalisti senza delega dall’alto.

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