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Trump e gli insorgenti di Capitol Hill

Sì, abbiamo visto tutto. Tutti hanno visto tutto. L’impensabile è accaduto, è sotto i nostri occhi. A Washington, tra Trump e gli insorgenti va in scena una crisi che viene da lontano
Sì, abbiamo visto tutto. Tutti hanno visto tutto. L’impensabile è accaduto, è sotto i nostri occhi. A Washington, tra Trump e gli insorgenti va in scena una crisi che viene da lontano

A Washington, tra Trump e gli insorgenti va in scena una crisi che viene da lontano

“Né ridere, né piangere, ma comprendere”.

Spinoza

Sì, abbiamo visto tutto. Tutti hanno visto tutto.

L’impensabile è accaduto, è sotto i nostri occhi.

Sono le anime belle a gridare, indignate.

La democrazia è in pericolo, paragoni storici infamanti estratti a bella posta dal cilindro della memoria.

Il solito copione.

L’atlantismo indignato che non ne azzecca una

L’America! Il Mondo Nuovo, da sempre divinizzato, l’ultima divinità ancora in piedi dopo il crollo degli ultimi dèi della storia e del Dio della fede.

Non era mai accaduto niente di simile, qualcosa che non ha eguali, nessun paragone con nient’altro.

E, di conseguenza, chi ha scalato le sacre mura del fortilizio sacro della democrazia a stelle e strisce, è un mostro.

Non si discute.

Anzi, facciamolo vedere questo mostro:

trump fun

Il suo nome è Jack Angeli, già battezzato lo “sciamano italoamericano”. Di lui ormai sappiamo tutto.

L’indignazione è l’ultima deriva dell’ideologia atlantista.

Non costa nulla e porta molta acqua al mulino delle élites, di cui perfino un analista di sicuro non filo-trumpiano come Federico Rampini ha individuato i limiti strutturali.

Prima delle elezioni, uscì fuori un film intitolato Unfit (inadeguato, incapace, inappropriato), in cui Trump a ogni piè sospinto veniva accostato a Mussolini e Hitler.

Altro che bon ton costituzionale, il Presidente in carica viene considerato come il Nemico della Seconda guerra mondiale. Una storia vecchia, in realtà.

L’America reale, non quella caricaturale degli atlantisti in servizio effettivo permanente, non ha niente a che vedere con i costumi “democratici” da vecchia aristocrazia della politica.

Di populismi, spesso armati, di destra e di sinistra, ne ha visti una quantità industriale, e i Democratici si sono spesso distinti in questo genere di pratica ideologica.

Del resto, movimenti come la Cancel culture e Black Lives Matter hanno connotati evidentemente populisti e di violenza ne incorporano non poca.

Ma sono dalla parte giusta, anti-trumpiani e gonfi di accademismo postmoderno, già criticato a suo tempo da una personalità come Jordan Peterson.

Ecco, l’atlantismo degli indignati si nutre di queste fonti e considera il passato un territorio straniero. Anche perché…

La storia non teme gli indignati, ma ne fa strame…

trump no

La storia è più antica di Trump

Da sempre la storia è la grande leva per afferrare, vincere, stravolgere e cucinare i nemici con gli ingredienti giusti; ma essa serve anche a spodestare dal trono barocco in cui sono assisi da troppo tempo gli atlantisti indignati.

Quelli che trascurano qualche piccolo “dettaglio”

1 – Gli USA hanno avuto qualcosa come quattro presidenti assassinati:

Abraham Lincoln (1865); James A. Garfeld (1881); William McKinley (1901) e ovviamente John Fitzgerald Kennedy (1963): non esattamente una terra “pacifica” e regolata da equilibri democratici “naturali”.

2 – Tra il 1861 e il 1865 l’America è stata dilaniata da un gigantesco conflitto variamente denominato.

Quando si indica la guerra in questione come “guerra di secessione”, si dà inizio alla mostrificazione del Nemico; i Sudisti sono brutti, sporchi e cattivi, i Nordisti, antenati delle élites fino alla dinastia Clinton, con gli annessi poteri finanziari, sono invece i Buoni, sono dalla parte giusta. 

3 – L’America è in guerra civile da almeno dieci anni e questo è stato scritto a chiare lettere da uno sconosciuto, ancorché geniale, analista politico, Lee Harris, in un libro formidabile:

The Next American Civil War. Attenzione al sottotitolo: The populist Revolt Against the Liberal Elite.

La guerra civile americana che verrà.

Ed è infatti arrivata.

La rivolta populista contro le elite “liberal”, che oltreoceano significa progressiste o di sinistra, se preferite. Anno di pubblicazione: 2010.

Chiaro il messaggio? Da lì siamo arrivati a Trump, che ha un genio unico nel parlare ai rivoltosi anti-elite liberal, le quali non sono fatte solo da bianchi suprematisti e razzisti incancreniti, ma anche da afroamericani delle classi medie oggi svantaggiate e un certo numero perfino di ispanici.

Ma naturalmente indignarsi è facile, pensare, guardando la realtà, madre di ogni sana attitudine controintuitiva, è di gran lunga più difficile e soprattutto non paga, in ogni senso.

trump supporter

La questione viene addirittura da più lontano.

4 – Christopher Lasch scrisse, nel 1995 (siamo nell’era Clinton, democratico amico intimo di Wall Street), un grande libro, La ribellione delle élites e il tradimento della democrazia (tr.it. Feltrinelli), con una visione cristallina sullo stato delle cose: “Le classi privilegiate non sono mai state tanto pericolosamente isolate da quanto le circonda come oggi.

Le moderne élites, da cui dipende il dibattito politico e nelle cui mani si trova il flusso internazionale del denaro e dell’informazione , hanno perso il contatto con il popolo, sono ormai sempre più cosmopolite e migratorie, sempre meno legate alle collettività che governano”.

Un fenomeno non solo americano, cose simili scrive, rifacendosi a Lasch, anche il filosofo della politica Jean-Claude Michéa, in Francia. 

La disillusione sulla democrazia piantata sulle palafitte delle élites è diffusa e i militanti trumpiani sono solo l’ultimo esito di un percorso che ha ormai una storia di tutto rispetto. Niente indignazione, dunque, meglio comprendere. 

Del resto, negli anni Settanta, mezzo mondo intellettuale di sinistra pensava, scriveva e insegnava che la democrazia non era altro che un orpello formale destinato a reggere il capitalismo, che è la versione di sinistra della narrazione ideologica dei trumpiani. 

Gli errori oggettivi di Trump

Fatta fuori l’indignazione, veniamo alla politica.

Gli errori di Trump sono chiari, oggettivi:

  1. L’assalto dei suoi militanti a Capitol Hill è un formidabile autogol, che ha permesso ai suoi avversari in casa repubblicana ed ai suoi nemici di sempre di mostrificarlo una volta per tutte, facendo leva ora anche sul venticinquesimo emendamento, in sostanza ora rischia di diventare “unfit”, sul terreno costituzionale.
  2. Il narcisismo patologico di cui è vittima ha impedito a Trump di afferrare al volo una favolosa opportunità dopo la sua sconfitta – visto che i brogli non li ha dimostrati -: dichiarare Biden vincitore, lasciare a lui la patata bollente di una ripresa in piena pandemia galoppante, mettendo parallelamente in piedi una rete politico-editoriale-comunicativa, attiva sui territori, in modo da ricandidarsi, più forte e non più estenuato dalla resistenza, alla presidenza. Ma, per far ciò, occorre avere lucidità mentale, precondizione di ogni abilità politica, tattica e strategica.
  3. Se devi mostrare carte, documenti e prove per dimostrare eventuali brogli, o lo fai subito, senza scatenare pandemoni collettivi, o ti ritiri come indicato al punto n.2. Anche perché, se neanche i giudici della Corte suprema che hai fatto eleggere sostengono le tue ragioni, forse qualche motivo ci sarà.
  4. Il popolo anti-establishment – che ha ragioni oggettive per combattere contro certe élites e comunque ha una visione della realtà che, in democrazia deve avere cittadinanza – ora rischia di essere irrimediabilmente orfano e, quindi, alla mercè di chissà quali sollecitazioni interne ed esterne, difficilmente governabili.

Se Biden fosse almeno un politico navigato e ragionevole, anziché offrire il Nemico in pasto alle leggi dello Stato ed ai media, dovrebbe innanzitutto far pace con quella mezza America che non lo vuole al comando e permettere a Trump di uscire senza farsi troppo male.

Viceversa, se reciterà la parte della vecchia zia dell’establishment, indignata e risentita, la guerra civile americana in scena da anni rischierà di far parte a pieno titolo dei manuali di storia di figli e nipoti dei vincenti e dei perdenti.

In questo caso, non potremo dire, citando Longanesi, che “ci salveranno le vecchie zie”.

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