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Il suicidio della modernità: appunti per il presente

Il suicidio della modernità è un saggio uscito nel 2008 e oggi voglio raccontarvi le riflessioni che mi hanno portato a scriverlo.
Il suicidio della modernità è un saggio uscito nel 2008 e oggi voglio raccontarvi le riflessioni che mi hanno portato a scriverlo.

Il suicidio della modernità è uscito nel 2008.

Oggi voglio raccontarvi quali sono state le riflessioni che mi hanno portato a scrivere quel saggio.

Il crollo del Muro di Berlino, in quel leggendario 9 novembre 1989, produsse un ciclo sociale collettivo di illusioni con tanto di legittimazione ideologica.

Altro che fine delle ideologie, il movimento storico moderno, in quella fase tanto caotica quanto cruciale, corroborò il pensiero di Karl Marx in proposito: “Le ideologie non hanno storia”.

suicidio

Infatti, dalle rovine del fatidico crollo, nacque una nuova super-ideologia: la turboglobalizzazione su base individualistico-libertaria. 

Da Est ad Ovest, la neolingua sillabava un nuovo vaticinio: la “fine della storia”.

Fukuyama non fece altro che rendere pubblico, con tanto di bestseller venduto a man bassa, il vaticinio che aveva, in realtà, un padre nobile, il “filosofo della domenica” (Marco Filoni), Alexandre Kojève. 

Kojève pensava a tutt’altro, la sua versione della “fine della storia” aveva ben altri connotati e finalità analitiche, ma tant’è, la super-ideologia non va tanto per il sottile quando si tratta di creare il “nuovo mondo”.

Il suicidio della modernità – tra idee e scritti

Ho discusso queste tesi per almeno un decennio e da questo lavoro è uscito fuori un saggio,

Il suicidio della modernità

edito da Cantagalli di Siena, nell’ormai lontano 2008.

Dodici anni, in un mondo che ingoia la temporalità come il gigante Pantagruel divorava i pasti con la sua grottesca famiglia, parto della squisita immaginazione letteraria di Rabelais, sono un eone temporale, è vero.

Eppure la tesi che cercavo di argomentare in quelle pagine è oggi più attuale che mai e infatti la ripropongo ai miei studenti, impegnati ad afferrare i nuclei fondamentali della modernità “eroica”, quella che dal tardo XVI sec. si spinge fino al cuore del XIX sec..

La tesi di fondo è presto detta:

la modernità nasce come progetto eroico e titanico di trasformazione globale del mondo, legittimando l’ideologia del rinnovamento continuo, dello sviluppo e delle “magnifiche sorti e progressive”, tenendo fuori Dio e l’esperienza collettiva che dalla fede è emersa nei secoli.

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In questo tour de force dell’infinito terrestre, a un certo punto il Moderno, orfano di Dio, si ritrova in radicale miseria spirituale e perfino priva dei fondamenti legittimanti il suo nascere.

In altre parole, fatta fuori la civiltà cristiana, la stessa “laicità”, che doveva pur avere connotati in qualche modo assoluti, stabili e certi, si suicida.

Perché la modernità, pezzo dopo pezzo, decostruisce il mosaico dei suoi fondamenti, dall’etica alla politica, e con l’insorgere dei totalitarismo novecenteschi, si ritrova a leccarsi le ferite in un deserto collettivo. 

Il Muro di Berlino era il totem del potere ateo e materialista, che, in assenza di Dio, poteva vantare un ruolo divino nella storia, una sorta di “religione senza Dio” (Augusto Del Noce).

Crollato l’ultimo tabù, il comunismo di Stato e il perverso “capitalismo di Stato” da esso scaturente, non è rimasto altro che il vessillo dell’individualismo sradicato dalle piazze, dalle comunità, dalle radici: lo sradicamento nichilista.

Globalizzazione e conclusione

L’ultimo atto di questa saga storico-ideologica è rappresentato dalla globalizzazione come visione neognostica secondo la quale la realtà poteva essere costruita e ricostruita in vitro, senza alcun riferimento al reale, alla storia, all’umanità concreta, alla prima cellula della società chiamata famiglia.

L’io è l’ego depauperato di storia, radici e fondamenti: libertà come affogamento nel vuoto pneumatico.

Ecco il “suicidio della modernità”: la sua realizzazione ha condotto a questo esito.

Studiare la storia nei suoi processi transpolitici, ossia orientati ai movimenti tellurici di fondo che abitano i destini umani, è l’unico modo per vaccinarsi dal politicamente corretto e dal flusso di ideologie di nuovo conio che, ad ogni piè sospinto, circolano in forma “social” (ossia anti-sociale).

Ecco, dunque, che l’analisi storico-culturale, legata alla storia delle idee e ad una concezione transpolitica, si coniuga oggettivamente all’educazione ed alla formazione integrale della persona. 

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