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Pandemia scolastica

L'Italia indietro rispetto agli altri Paesi europei nella gestione della pandemia: scuole in DAD con costi alti e pochi benefici.
L'Italia indietro rispetto agli altri Paesi europei nella gestione della pandemia: scuole in DAD con costi alti e pochi benefici.

L’Italia indietro rispetto agli altri Paesi europei nella gestione della pandemia.

Scuole in DAD con costi alti e pochi benefici.

Poi c’è il Sud…e quella è un’altra storia.

Primo lockdown. Da marzo a giugno scuole di ogni ordine e grado chiuse.

Oggi, novembre 2020, siamo il primo Paese europeo a tenere serrati i cancelli di una buona parte della scuola: di sicuro le scuole superiori, in parte le medie e poi in alcune regioni del Sud, in Campania e in Puglia, tutte le scuole sono in didattica a distanza.

In Puglia addirittura si può scegliere, perché la responsabilità non è più del governo, ma è del genitore: o si mandano i figli a scuola con l’alto rischio di contagio o si tengono a casa per scongiurare il pericolo esterno.

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Cerchiamo di capire questa pandemia

Naturalmente a fronte di dati allarmanti, seppur generalizzati e poco chiari, molti studenti sono rimasti in didattica a distanza. Questo ha comportato un ulteriore confusione nella formazione, parte in presenza e parte in dad, con le inevitabili conseguenze relative all’apprendimento. 

Non vogliamo sottovalutare le ragioni di chi è preoccupato dal contagio e dalla tenuta del sistema sanitario, ma — soprattutto in un lockdown selettivo — i benefici di certe scelte vanno valutati rispetto ai costi da sostenere.

I dati mostrano che sospendere la didattica in presenza nelle scuole ha dei costi certi, ma benefici molto incerti.

Non è chiaro quanto la chiusura delle scuole riduca il contagio perché questo dipende dal contesto in cui le scuole vengono riaperte (ad esempio dai protocolli e dal trasporto pubblico locale associato all’attività scolastica), da come e dove trascorrono il loro tempo gli studenti colpiti dai provvedimenti di chiusura e dal tipo di scuola (primaria o secondaria).

In alcuni casi, come in quello tedesco, la riapertura sembra addirittura aver ridotto il contagio nella fascia di popolazione più giovane, lasciandolo invariato nella popolazione più adulta.

Anche la nostra Ministra all’Istruzione Azzolina ha più volte ribadito che, in presenza di rigidi protocolli, la propagazione del contagio a scuola è limitata. Ma non ha del tutto convinto i governatori regionali.

Protocolli e dati

In realtà dati certi e significativi riguardo il contagio in una struttura scolastica sono inesistenti, per il semplice fatto che il tracciamento necessario a stabilire i contatti con il positivo è saltato.

Le strutture sanitarie non riescono più a delineare il percorso virale di una scuola e di conseguenza tracciare tutte le relazioni connesse ad esso.

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Osservare che in concomitanza dell’apertura della scuola i contagi siano aumentati non implica necessariamente che in assenza dell’apertura i contagi sarebbero stati più bassi. Probabile che ci sia stata una concomitanza di cause.

Tuttavia di fronte a dati incerti o indisponibili non si può asserire con certezza che l’impatto dell’apertura delle scuole sull’andamento del contagio sia stato devastante.

Gli studi nelle scienze sociali ci dicono che chiudere la scuola oggi rappresenta una ipoteca sul futuro di una intera generazione.

Costi certi e benefici incerti caratterizzano anche la chiusura di altre attività, ma la scuola è un settore in cui i danni associati alla sospensione della didattica non si recuperano più. Sono perdite permanenti per gli studenti e quindi per tutto il Paese. 

Questo al momento sta avvenendo solo in Italia.

Perché negli altri Paesi, dove la pandemia dilaga, le scuole rimangono aperte?

La formazione scolastica è sempre stata un punto dolente nel contesto italiano.

L’abbandono scolastico ancor prima della pandemia e l’inadeguatezza delle risorse economiche per rendere la scuola più dinamica e coinvolgente è una vecchia storia.

Oggi si evidenzia che, paradossalmente, proprio dove c’è bisogno di più scuola, al Sud, c’è più disponibilità a chiudere. 

E c’è una ragione strettamente politica.

Le regioni meridionali, che hanno chiuso prima di altre- parlo della Campania e della Puglia- sono anche quelle in cui la bassa partecipazione al mercato del lavoro femminile (solo una donna su tre lavora nel Mezzogiorno), la dispersione scolastica e le maggiori carenze nel tracciamento dei contagi rendono politicamente meno costosa la sospensione della didattica.

In poche parole, il Sud non funziona e quindi è inutile investire in strutture sanitarie adeguate e in una politica di inclusione lavorativa e sociale delle fasce più deboli (in percentuale alta). Meglio contare su un Nord che non si piega, nonostante la crisi storica della pandemia da Covid.

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Pandemia e capitale umano

È chiaro che questo periodo prolungato di chiusura delle scuole non fa altro che indebolire il capitale umano che un domani dovrà reggere il Paese a confronto con Paesi europei notevolmente avvantaggiati sul piano formativo, sociale ed economico.

Proteggere la formazione dei nostri ragazzi dovrebbe essere una priorità nazionale attorno a cui costruire politiche adeguate che minimizzino i costi del contagio.

Per questo bisogna adottare soluzioni innovative in linea con gli altri Paesi europei che le scuole le mantengono aperte anche in condizioni sanitarie più critiche della nostra. 

Ciò che serve è una politica organizzativa di risorse e investimenti sul capitale umano e sanitario.

Tutte le regioni, da Nord a Sud, da Est ad Ovest, devono avere le stesse possibilità di crescita in modo tale da realizzare un Paese uniforme, dotato di armi, munizioni adeguate per combattere il visus del secolo.

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Francesca Barbagiovanni
Sociologa ed esperta di comunicazione no profit. Ha condiviso la maggior parte della sua vita lavorativa con il terzo settore, coordinando attività socio-educative e progettando ambiti di intervento di integrazione sociale e lavorativa di minori e adulti svantaggiati. Tra le esperienze di maggior rilievo: coordinatore di attività socio-educative ed educatore professionale nell’ambito del centro diurno socio-educativo per disabili il Pineto (art.60 l.reg.2007) nella città di Trani Formatore di comunicazione nella relazione di aiuto con utenti disabili nell’ambito del progetto di Formazione csv 2014 dal titolo ”disabili e sessualita’ …un amore impossibile? Attività di monitoraggio ed intervento, in qualità di orientatore di famiglie in difficoltà, in collaborazione con i servizi sociali del comune di Trani . Saggista del “Terzo settore e il concetto di rete: costruzione sociale di un modello condiviso”, inserito nel volume Noi pubblicamente- edito da pensa multimedia-febbraio 2013 Moderatore di focus group su famiglia e disabilità nell'ambito di progetti della regione Puglia- associazionismo familiare 2009 E per concludere studio e monitoraggio delle famiglie nell'ambito del Censimento permanente della popolazione.