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jonathan galindo
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Gioco mortale

Il gioco è un'azione o un oggetto che permette di provare divertimento e allenare la propria creatività. Jonathan Galindo non è un gioco ma è un'istigazione al suicidio e chiunque ne sia il responsabile deve essere condannato per omicidio.
Il gioco è un'azione o un oggetto che permette di provare divertimento e allenare la propria creatività. Jonathan Galindo non è un gioco ma è un'istigazione al suicidio e chiunque ne sia il responsabile deve essere condannato per omicidio.

Il gioco è un’azione o un oggetto che permette di provare divertimento e allenare la propria creatività.
Jonathan Galindo non è un gioco ma è un’istigazione al suicidio e chiunque ne sia il responsabile deve essere condannato per omicidio.  

Purtroppo mi trovo di nuovo a scrivere queste frasi, che speravo di essermi lasciato alle spalle; invece a distanza di anni dal fenomeno del “Blue Whale” ecco che inquietanti storie tornano ad affollare i giornali.

Storie molto simili che ci raccontano quanto sia semplice sfruttare l’innocenza di un bambino, quanto sia facile manipolare una mente in formazione, riuscendo perfino a convincere che sia corretta l’auto mutilazione o il suicidio per seguire una sfida.

jonathan galindo
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La vera sfida è accettarsi

Purtroppo non sono incredulo che cose del genere possano succedere. Infatti, basta aprire Tik Tok per vedere “challenge”, sfide o giochi sempre più pericolosi o non-sense nelle quali si cimentano molti adolescenti, nella speranza di raccattare qualche “like” dai loro contatti. 

Ormai essere al centro dell’attenzione, sentirsi accettati e seguire una moda a prescindere dall’effetto è diventato un diktat per molti adolescenti.

Anche perché molti dei loro esempi adulti fanno esattamente le stesse cose.

Per gli adulti (normalmente) non si tratta di fare sfide pericolose o autolesioniste, ma seguire comportamenti accettati anche se immorali o incongruenti. Per esempio l’uso di droghe nei contesti lavorativi per essere più produttivi o l’abitudine di abusare dell’alcol nel fine settimana, perché altrimenti “una serata non sarebbe divertente”, sono un pessimo esempio che stiamo dando.

Se gli adulti si dedicassero ai figli, donando loro la cosa più importante per una crescita consapevole: il loro tempo.
Se invece di lasciarli a loro stessi, con il permesso di navigare senza limiti in un mondo fatto di siti ingannevoli, pessime opportunità e promesse di celebrità spicciole, dedicassero loro il giusto tempo, questi ragazzi inizierebbero a costruire la loro identità, osservando dei modelli funzionali e non delle immagini riflesse in uno schermo.

Porsi le domande giuste

Nella storia dietro questo gioco mortale ci sono delle evidenze inquietanti che non dovrebbero essere prese sottogamba. Come per la “Blue Whale”, anche in questo assurdo “gioco”, un ragazzino viene adescato da qualcuno che sicuramente conosce bene come funzionano il cervello e il meccanismo della ricompensa ormonale.

Per manipolatori esperti, adescare ragazzini, diventa davvero un gioco.
Mentre per i ragazzi inizia l’incubo: gli ignari partecipanti saranno così assuefatti che seguiranno il loro aguzzino in tutte le assurdità che propone, fino all’auto-mutilazione e il suicidio.

Ma noi cosa possiamo fare per proteggere i nostri ragazzi dal mondo oscuro che li circonda? 

In primis, attraverso un sistema scolastico e familiare in grado di fornire strumenti di auto-comprensione e pensiero critico. Grazie a questi strumenti, potremmo iniziare a crescere generazioni di bambini in grado di porsi delle domande, di trovare delle soluzioni diverse e non seguire quelle fornite da altri.

Imparando a dare meno importanza all’apparenza e rendendo la conoscenza un valore. In questo modo, forse, i nostri ragazzi sarebbero in grado di sviluppare una maggiore intelligenza emotiva che li supporterebbe nel complesso viaggio che è la vita.

Infine, educando gli adulti ad ascoltare senza giudicare, a insegnare senza imporre e a permettere una crescita senza l’assurda necessità del tutto e subito.

Forse, e dico forse, in questo modo, qualche ragazzo una domanda ad un adulto la farebbe.

Michele Quadernucci
Laureato in Sviluppo economico, Cooperazione internazionale e Gestione dei conflitti presso l’Università degli Studi di Firenze, ha ampliato le sue competenze con un diploma triennale di Counseling psicosomatico ad indirizzo comunicativo, olistico, integrato. Ha proseguito le sue formazioni nel campo della formazione e del benessere ottenendo l’Internazional NLP Coaching Certification di Grinder, Bostic e Frausin e diventando formatore nell’uso delle LifeSkills. Lavora per lo sviluppo dell’intelligenza emotiva nel contesto educativo e formativo, usando la gestione dello stress e delle emozioni come base per una didattica innovativa; negli anni ha sviluppato modelli di lavoro sulle emozioni e sulla didattica legati alle LifeSkills e all’intelligenza emotiva, che permettono di ottenere risultati eccellenti, ecologici e ripetibili.